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martedì 19 dicembre 2017

La mia Shepherd's Pie

La Shepherd's pie (letteralmente “sformato/pasticcio/torta del pastore”) è una ricetta tipica della tradizione culinaria anglosassone nata, come la maggior parte delle ricette popolari, dall'esigenza di fare economia e di non sprecare gli eventuali avanzi; basti pensare ai Muffin ad esempio sempre della cultura britannica : dolcetti del riciclo, molto spesso poco dolci ma perfetti per un riutilizzo intelligente della frutta o di avanzi anche salati.


La cottage pie viene chiamata così nel 1700 dopo che tra gli inglesi e gli irlandesi si diffuse un preparato a base di patate commercialmente alla portata dei più poveri: cottage era un termine colloquiale che indicava qualcosa di basso costo.
Si presentava in definitiva come un pasticcio di carne, dove una base di montone o agnello veniva ricoperta da uno strato croccante di patate. 
Nel corso del tempo la cottage pie è diventata torta del pastore, ovvero in inglese Shepherd's pie: siamo alla fine del 1800 e il nome della torta cambia in seguito alla consuetudine di utilizzare carne di manzo invece di montone e agnello. La carne di manzo era una carne estremamente diffusa in Inghilterra, alla base della gran parte di allevamenti pastorali, da qui il termine torta del pastore. 

Oggi è possibile trovare anche delle versioni vegetariane di questo piatto, considerato un vero comfort food inglese. 

Si tratta di una ricetta di umili origini che oggi è presente in vari Paesi del mondo in differenti versioni: Hachis Parmantier in Francia, Pastel de Papa in Sudamerica, etc.

La Shepherd's pie è un'idea originale, ricca e gustosa per un pranzo importante, la decorazione a ciuffi realizzata con il purè rendono questo piatto davvero scenografico. (consiglio di farli con una sac a poche per un evento importante e d'effetto).

Un ottimo piatto unico, molto nutriente, bello sostanzioso, spesso l'unico ad essere messo in tavola, soprattutto nella stagione più fredda dell'anno.

Il bello di questo piatto è che lo si può personalizzare e variare a seconda della stagionalità delle materie prime, dei gusti, o semplicemente della propria fantasia! 

Ma vediamo come fare.


SHEPHERD'S PIE (vegan e gluten free)


INGREDIENTI
(dosi per 8 persone)

PER LO STRATO DI PATATE
1.5 kg di patate dolci americane 
230/350 ml di latte vegetale senza zucchero
sale q.b.
olio evo q.b.
aglio in polvere
farina fioretto di mais e lievito in scaglie per spolverare

PER LO STRATO DI LENTICCHIE
230 g di lenticchie marroni o verdi
olio evo q.b.
1 cipolla grande (bianca o gialla) tritata
2 scalogni tritati
2 spicchi d'aglio tritato
2 carote medio grandi pelate e tagliate a tocchetti
2 ciuffi di prezzemolo fresco tritato
300 g di funghi champignon classici o crema lavati,puliti e tagliati a fettine sottili
timo,rosmarino,salvia q.b. 
1 cucchiaio di aceto balsamico
vino rosso vegan ok a sfumare (facoltativo)
½ tazza di brodo vegetale 
sale e pepe q.b.


Per prima cosa preparare il purè di patate dolci. Mettere una pentola con acqua a bollire. Pelare e tagliare le patate in cubotti di circa 3,5/4  cm. Quando l'acqua bolle immergervi le patate e farle cuocere per 15/20 minuti o comunque finché non risultano tenere con la prova della forchetta.

Togliere le patate dal fuoco e scolarle bene poi riporle in una grande ciotola. Schiacciarle bene bene con l'apposito utensile o se si vogliono fare dei buoni muscoli con una forchetta e taaanta pazienza. Aggiungere sale, aglio, latte e olio. Regolare di sapore secondo il proprio gusto e ottenere una buona consistenza (non deve essere papposo). 
**Questo procedimento si può fare anche il giorno prima (max due giorni prima) e conservare in frigo il purè.
Preriscaldare il forno a 180° e preparare una teglia sufficiente per 8 porzioni ungendola con un filo d'olio.

Per cuocere le lenticchie metterle -dopo averle sciacquate bene sotto un getto d'acqua corrente- in una padella non troppo grande con acqua giusto a livello per coprirle. Lasciar che l'acqua si riduca e coprire facendo cuocere per circa 20 minuti o comunque finché non risultano tenere. Quando sono pronte metterle da parte. 
**Anche questo procedimento può esser fatto giorni prima.

Ora prendere una padella e far imbiondire con un filo d'olio e un pizzico di sale la cipolla e lo scalogno per un paio di minuti, aggiungere poi l'aglio un altro minuto e poi le carote e il prezzemolo per un altro paio di minuti avendo cura di rigirare il tutto molto spesso in modo da non bruciare nulla. Aggiungere ora i funghi, le aromatiche (timo,rosmarino e salvia) e l'aceto. Regolare nuovamente di sale e lasciar cuocere i funghi poi sfumare col vino se lo si utilizza.
Aggiungere ora le lenticchie cotte in precedenza e il brodo. Scaldare e amalgamare bene bene. Se necessario regolare nuovamente di sale,pepe e aromi.
Ora mettere il composto con le lenticchie alla base della casseruola. 
Prendere il purè di patate preparato in precedenza e spalmarlo creando lo strato superiore della casseruola.
Spolverare con farina di mais fioretto e lievito in scaglie. Per finire un filo d'olio sopra.
Informare per 40/45 minuti o comunque finché non si forma una leggera crosticina sulla parte superiore.

NOTAGUSTO: la Shepherd's pie si conserva in frigo in contenitori ermetici per anche 3 giorni.
Le varianti che si possono fare sono infinite: ad esempio purè di sedano rapa o di patate viola (o il classico con le patate nostrane) e le lenticchie si possono unire ad asparagi, piselli o fagiolini. Sopra poi si possono mettere noci sbriciolate o altra verdura.



qui con variante di pomodorini e radicchio sopra e zucca al posto delle carote


mercoledì 13 dicembre 2017

Street food tutto italiano. Da nord a sud: panissa, panelle e crocchè

Le feste hanno radici lontane e prendono significato, valore e sapore in buona parte dal comportamento alimentare.
A ben riflettere infatti non è un caso che i cibi legati alle feste, e i rituali che li accompagnano, siano entrati a far parte del patrimonio gastronomico italiano. Il sentimento che li ha generati, quel sentire forte la festa, si è trasformato in una sorta di malinconia che rende ancora attuale, e necessario, il loro essere presente sulle nostre tavole.
Oggi è Santa Lucia - protettrice degli occhi - nativa di Siracusa (vedremo infatti come la tradizione si è ben sviluppata in sicilia) il cui culto e la notorietà si sono espanse velocemente anche in aree come l'America Latina, l'Africa e l'America del Nord. Reliquie della Santa sono presenti anche a Napoli, Roma, Milano, Verona, Padova, Lisbona, Nantes. Inoltre la tradizione di festeggiare Santa Lucia è molto diffusa anche nel Nord Europa, dove la sua festività preannuncia l'arrivo dei mesi di luce. 
In tutta la Sicilia il 13 dicembre non si mangia pane, ma in segno di penitenza soltanto legumi e verdure. Questa tradizione pare sia nata in memoria di una carestia che afflisse la Sicilia nel XVIII secolo e che finì proprio grazie all'intervento miracoloso della martire che convogliò sull'isola una flotta di navi cariche di frumento. A Leonforte, in provincia di Enna (ma oramai è usanza quasi ovunque sull'isola), in ricordo dell'avvenimento, dopo la messa, si mangia la cuccìa un dolce (forse di origine araba) dalla lunga preparazione, composta da grani di frumento cotti a lungo nell'acqua e conditi con ricotta, zucca, cannella, cioccolata in pezzi, zucchero e vin cotto. Un tipico dolce sacrale, di cui è uso mangiare tutto tanto che perfino le briciole non devono andare disperse, e si offrono agli uccellini perché il loro destino sia protetto. In realtà anticamente la devozione alla santa si manifestava mangiando, durante la sua festa, esclusivamente la cuccìa. (3.a persona singolare di “cucciàri”  che significa piluccare derivato da “cuocci” i granelli, briciole). Il nome Cuccia che si fa risalire al gre­co kykeó, miscela o bevanda a base di farina cui si aggiungevano formaggio, miele o vino indica la versione dolce.) Ecco perché di norma il frumento ci cuoceva con il sale e vi si aggiungevano i ceci, e si condiva il tutto con ricotta salata grattugiata e olio. La versione dolce di questo piatto è nata soltanto in un secondo momento.Tale uso non e’ che sia strettamente siciliano, lo troviamo un po’ dovunque nelle regioni meridionali (Calabria, Puglia, Basilicata e Sardegna compresa) basti pensare alla “pastiera”
Altro ingrediente principe della festa è il riso, che viene presentato sotto la classica versione delle arancine o sotto forme di minestre condite con gli sparaccieddi, i nostri broccoletti, o nel sontuoso riso alla palermitana, ricco timballo condito con melanzane. Insomma il riso sostituiva per l'intera giornata la pasta, e ogni sua variante, dolce o salata, era la benvenuta.
C'è poi la credenza che a chi si astiene dal mangiare cibi a base di farina la Santa conserverà per sempre la vista, così come quella che vuole che nutrendosi solo di verdure e senza pane, si potrà avere un'illuminazione sul nome e volto della futura sposa o dello sposo.
Il culto della santa si è diffuso nel Medioevo in tutta Italia dando vita ad altre credenze e usanze.L'antico patronato di santa Lucia sul solstizio, un momento magico perché segna la rinascita simbolica del sole, l'ha infine trasformata in una dispensatrice di doni per il nuovo anno in alcune zone dell'Italia nord-orientale. In alcuni paesi del Bellunese, del Trevigiano e del Veronese i bimbi preparano nella stanza dove dormono un piatto con fieno e semola per l'asinello, carico di doni, che accompagna Lucia nel suo giro per le valli. I genitori fanno loro un'unica raccomandazione: di addormentarsi presto e di chiudere bene gli occhi perché altrimenti la santa li accecherà gettando loro cenere. In Valsugana, invece, i ragazzi mettono sulle finestre piatti o scodelle con la crusca per l'asinello, aspettando i doni di Lucia, la quale punisce i più capricciosi lasciando loro, a guisa di ammonimento, una frusta. Nel Bergamasco fino a qualche decennio fa era usanza regalarsi dei dolci speciali, i badì dè dama, zuccherini grandi come una moneta e infiocchettati, che venivano poi legati ai due capi dei lacci delle scarpe depositate sul davanzale della cucina insieme con il fieno per l'asinello. E così via con tante altre tradizioni sparse per tutto lo stivale. Nella mia città ad esempio è anche protettrice dei fidanzati pertanto si usa regalare torre o mandorlato alla propria ragazza/fidanzata.
Ma veniamo ai piatti a cui mi sono dedicata e partiamo dalle PANELLE  e CROCCHE'  per poi arrivare alla PANISSA
Tipiche di santa Lucia sono anche le panelle. Pitrè, il grande folclorista siciliano, così le descrive “I venditori di panelle parano le loro botteghe a festa con panelle ben grosse pendenti attorno all'uscio o distese sopra bianche tovaglie. Sono le panelle come una pattona di farina di ceci; ricevono varie forme e il nome di pisci-panelli perché ab antico hanno la figura di pesci”.
Tipiche della cucina di strada palermitana, sono una ricetta antichissima, un cibo popolare presto apprezzato anche dai nobili del Regno delle Due Sicilie.
La storia delle Panelle si perde dunque nei secoli. In Occidente i ceci erano largamente usati in cucina già dai greci e in epoca romana, quando venivano cucinate come polenta, impastate con l’acqua. Si pensa che furono gli arabi, durante il periodo in cui dominavano la Sicilia (dal IX al XI secolo), a portare sull'isola un metodo per macinare i semi dei ceci per ricavarne una farina che veniva quindi mescolata con l’acqua e cotta sul fuoco in porzioni di piccole dimensioni prima di essere gustata. Forse queste prime Panelle vennero cotte dentro i tipici forni verticali che venivano usati all'epoca per cuocere il pane e solo durante il Tardo Medioevo, probabilmente sotto la dominazione francese, iniziano ad essere fritte poiché la dinastia Angioina pare ne fosse particolarmente ghiotta. Al di là delle origini e dei dubbi che ci offre la storia, è comunque nella città di Palermo che nacque la prima Panella moderna come cibo popolare. Ben presto però esse iniziano ad essere apprezzate anche dai nobili e dalla stessa Casa Reale Borbone, che regnava sul Regno delle due Sicilie.
Il Panellaro, in passato, guidava per le strade della città un carretto fornito di un fornello e una casseruola colma d’olio; oggi le Panelle si trovano ancora nei carretti mobili e nelle friggitorie a Palermo e in tutta la Sicilia.
Gli estimatori  preferiscono cospargere questi “croccanti  fazzoletti bollenti” di succo di limone spremuto “a vivo” .
Le panelle insieme alle “crocchè”  sono l’emblema della sicilianità. Un buon panino con le panelle e crocchè è il miglior spuntino da strada che si può gustare a Palermo, in grado di oscurare qualsiasi  “fast food” perché alla velocità del pasto unisce un sapore unico ed inconfondibile impossibile da trovare altrove.

CROCCHE' SICILIANE



 crocchè o cazzilli (per la loro forma “fallica” ebbene anche se fa sorridere è proprio così) si ottengono, dalla purea di patate bollite , cui si aggiunge prezzemolo o mentuccia, sale e pepe. Con le mani umide si formano delle “crocchette” della lunghezza di circa 5/6 cm che si friggono in abbondante olio di semi fino a quando non risulteranno ambrate.



PANELLE AL FORNO (versione light)

panelle al limone (le mie preferite) e crocchè in uno stand di street food siciliano
INGREDIENTI
(dosi per 3 persone)
200 g di farina di ceci
sale e pepe q.b.
2 bicchieri di acqua
prezzemolo fresco q.b. 
olio evo
Mettere l’acqua in una terrina, poi versate la farina di ceci a pioggia e con una frusta mescolate fino ad ottenere una pastella liquida ed omogenea, senza grumi.
Aggiungere sale,pepe e prezzemolo tritato e mescolare ancora, poi coprire il contenitore con un panno asciutto e lasciar riposare l’impasto per dai 15-20 ai 30 minuti circa.
Nel frattempo preriscaldare il forno a 200 gradi e, quando arriva a temperatura, versare la pastella liquida di ceci in una teglia larga ben oliata (non vi spaventate se la vedete molto liquida: servirà a renderla morbida dopo la cottura!), con l’aiuto di una spatola distribuite uniformemente l’impasto (deve essere molto basso, perché le panelle devono risultare sottili) e infornare per circa 25-30 minuti.
Quando la superficie dell’impasto sarà ben cotta e dorata toglliere dal forno e lasciar riposare qualche minuto, poi con una paletta tagliare la panella in tanti rettangoli e servire magari con una spruzzata di limone a vivo.
Verrà fuori una panella leggera e delicata, morbida dentro e croccante fuori: potete mangiarla così, oppure accompagnarla con verdure o altro!



PANISSA LIGURE (anche light)

Un pasto simile alla panella palermitana è la "fetta" savonese, che, a differenze della panella, viene tipicamente servita in mezzo a panini bianchi senza crosta, rotondi, piatti chiamati "focaccette"

“ Rifocilla molte persone al posto del pane “ dice un autore del tardo duecento riferendosi all'abbondanza di castagne,fagioli e panico. Proprio da quest'ultimo il “ panico “ , che si diffuse soprattutto nel nord Italia , prese il nome il panicium da cui derivano tutti i nome che ancora conosciamo come: panizza , panissa, paniscia , panicia , paniccia. Ben presto si sostituisce al panico il cece ,il frumento , l'orzo , il granoturco, molto più gustosi e morbidi al palato. Ma il nome resta anche se in ogni regione del Nord assume caratteristiche diverse. Così si va dalla panicia dell'Alto Adige con stinco di maiale , verdure e orzo ; alla paniscia del comasco con granoturco, burro e formaggio , per passare alla Liguria dove per prima però nasce la farinata. 
La leggenda narra che durante la battaglia della Meloria , nella stiva di un galeone genovese per un colpo di cannone, entrò acqua nella stiva bagnando il carico di farina di ceci. Questa poltiglia fu usata per sfamare i prigionieri , ma fu assaggiata anche dai genovesi, che trovandola gradevole la fecero diventare uno dei loro piatti preferiti. 
Più tardi come dicevamo nasce la panissa, inizialmente chiamata “ maniccia “ o nel ponente “ tavelle “ la nota polentina di farina di ceci condita con olio extra vergine, cipolla e aglio . 
Pittoresca la descrizione che ne fa il poeta Richero che dice: " La paniccia è buona in tutti i modi è un boccone da prete goloso non c'è niente , né pietanze, né primi che se ne possa dire tanto lo stesso che tu abbia fame o che tu non ne abbia niente ci sta sempre una scodella di paniccia." ahahahaha direi che ha reso bene l'idea ;)

Il vocabolo, al pari di panigaccio, origina da “panìco”, un cereale poverissimo, affine al miglio. La panissa era un piatto quaresimale, molto duttile come tutte le “polentine” appunto simile alle panelle palermitane. Anche questa prelibatezza culinaria la si trovava nelle antiche “Sciamadde” locali storici in cui veniva cucinata e servita la farinata insieme alle tipiche torte salate liguri. Tipico street food ligure.

INGREDIENTI: 
(dosi per circa 6 persone)
300 g di farina di ceci
1 l scarso d’acqua tiepida
olio evo
sale e pepe qb

In un’ampia casseruola antiaderente lavorare con una frusta la farina e l’acqua tiepida, lentamente, senza pause, in modo da sciogliere la farina e non creare grumosità specialmente lungo i bordi (se occorre, “filtrare” il composto). 
Aggiustare di sale e far riposare, coperto, un paio d’ore o più. 
Cuocere questa “polentina” circa un’ora a fiamma bassa esempre mescolando affinché non s’attacchi. Infine versarla in un vassoio unto d’olio o su piatto bagnato. Raffreddata, non in frigo, si può tagliare a cubetti e condirla subito con olio, pepe nero e cipollotto fresco tagliato fine, o anche con biete stufate. 
Oppure si può tagliarla a fiammiferi – ecco le panissette - e friggerla in abbondante olio bollente (ottimo anche quello di arachidi), nel qual caso poi è preferibile abbinare un bel bianco frizzante! 

NOTAGUSTO: la mia proposta light è di cuocerla nel forno invece che friggerla.

mi scuso per la foto, ma non sono riuscita a fare di meglio causa voracità commensali !!!


Hai detto aperitivo ??

Sapete come le nostre nonne facevano gli aperitivi senza nemmeno sapere ancora che si sarebbero chiamati così? 
Le mandorle tostate che qui vi propongo erano tra le soluzioni più semplici, sane e meno costose nel bacino del mediterraneo assieme ai ceci tostati ovviamente! 

Le mandorle in versione salata sono uno snack ed una scelta per un aperitivo di sicuro successo e insolito rispetto alle ormai banali proposte.

Ma veniamo subito alla velocissima ricetta.



MANDORLE TOSTATE ALLE AROMATICHE




INGREDIENTI
(dosi per circa 1 tazza e ½ di mandorle)

1 tazza e ½ di mandorle sgusciate ma non spelate (crude e intere)
1 cucchiaino e ½  di acqua calda
1 cucchiaino di sale
3 rametti di timo fresco (da usare solo le foglie)
1 rametto di santoreggia (da usare solo le foglie)
olio evo q.b.


Per prima cosa preriscaldare il forno a 200° e preparare mettendo già in forno una teglia o placca leggermente unta o ungere leggermente un foglio di carta forno sulla placca (come preferite). La teglia o la placca dovrà esser grande a sufficienza da poter contenere le mandorle senza che queste vengano sovrapposte le une alle altre.

Nel mentre unire l'acqua con il sale e mescolare bene in modo si sciolga.
Aggiungere poi le mandorle,il timo e la santoreggia (le foglioline che in genere sono molto piccole possono anche essere lasciate intere altrimenti se preferite sminuzzatele un po' con il coltello ma armatevi di taaanta pazienza !). 

Disporle accuratamente nella placca senza che si sovrappongano e tostarle per circa 15/20 minuti avendo cura di rigirale ogni 5 minuti o comunque finché non sono leggermente colorate dentro (fare la prova tagliandone una a metà). Ma attenzione perché quando cominciano a tostare ci mettono un attimo a bruciare e la mandorla bruciata diventa subito amara ed è da buttare! Quindi occhio!

Una volta tostate toglierle dal forno e metterle in una ciotola. Quando sono ancora calde aggiungere un po' di olio (2 cucchiaini dovrebbero bastare) e mescolare bene.

Servire una volta raffreddate magari accompagnate da un bicchiere di spritz ;)

NOTAGUSTO: la santoreggia ha un aroma speziato al pepe tanto che alcuni la chiamano "erba acciuga". Conosciuta fin dall'antichità era già utilizzata in cucina ed erboristeria dai Romani. Tipica delle nostre zone ha un sapore simile al timo, ma qui ne vince la nota più speziata. Normalmente dato il gusto intenso e pungente non è consigliabile farla cuocere a lungo, meglio aggiungerla a crudo a fine cottura, ma in questo caso l'aroma permane e anzi ne esalta il gusto finale!








martedì 12 dicembre 2017

Profumo di castagne e porcini...

Le castagne in cucina si abbiano bene a svariati piatti sia dolci che salati e mi piace quando la stagione ce le regala utilizzarle al meglio.
Quando poi ti avanzano dal giorno prima...

Questo piatto mi è "uscito" senza riflettere e solo mentre lo cucinavo. L'idea iniziale era un classico sugo di funghi porcini poi mi son detta: ok arricchiamolo con la curcuma ed altro...e l'occhio mi è caduto in un sacchettino lì a fianco al piano cottura dove avevo riposto la sera prima le castagne rimaste e mi son detta : ma certo!

Spero Vi piaccia noi in famiglia l'abbiamo spazzolato di gran gusto! Peccato non ne avessimo da poter fare un bis! dovremo rimediare alla prossima occasione! Ahahahah

Tra l'altro potrebbe anche essere una valida proposta quando si hanno ospiti o nei menù delle festività. Successo assicurato!

FUSILLI AI PORCINI, CASTAGNE E CURCUMA




INGREDIENTI 
(non darò dosi perchè va molto a seconda del numero di portate e non sono così fondamentali)

pasta senza glutine (io ho usato i fusilli di mais e riso)
funghi porcini essiccati
curcuma in polvere (circa 1/2 cucchiaino)
prezzemolo fresco
olio evo
sale e pepe
castagne cotte in precedenza (bollite e spelate)
vino bianco vegan ok 
cipolla o scalogno


In una padella sobbollire con un dito d'acqua la cipolla per un paio di minuti. Aggiungere poi i funghi porcini essiccati e sminuzzati grossolanamente con le mani o col coltello.
Far andare per qualche minuto a fiamma media e poi sfumare col vino.
Regolare di sale, pepe, olio e curcuma fatta sciogliere in un bicchierino d'acqua di cottura della pasta.
Nel mentre sminuzzare le castagne anche queste grossolanamente e aggiungerle al sugo. Aggiungere un mestolo di acqua di cottura della pasta in modo da creare una minima cremosità al sugo. In altumo aggiungere il prezzemolo fresco tritato.
Quando la pasta è pronta saltarla in padella un minuto in modo da insaporire e amalgamare bene il tutto e se necessario aggiungere un filo d'olio.
Servire subito.

BUON APPETITO


NOTAGUSTO: se preferite i porcini freschi non occorre variare nulla nella ricetta se non la cottura ad hoc degli stessi :) Ottimi volendo anche i funghi chiodini. Da provare.

Il Golden Milk : l'Oro della salute nella tazza

Questo post è tutto dedicato ad una mia carissima amica che l'altra sera era ospite da me ed in cucina nel mare di foglietti appesi coi magneti ha notato i miei appunti per questa micro ricettina e mi dice: "dai sbrigati a postarla" ed io: "eh ma devo fare una foto carina prima!" 
Quindi mi son messa all'opera ed ecco qua :)


Tutti coloro che praticano Yoga (in particolare Kundalini) conoscono la ricetta del Golden Milk o Latte d’oro (ormai in occidente così conosciuto)  consigliata da Yogi Bhajan (maestro di questa disciplina) ai suoi allievi per migliorare l'elasticità e poter rimanere così più agevolmente nelle posizioni richieste. Questa bevanda, in realtà, è particolarmente indicata non solo per chi pratica ma anche per tutti coloro che hanno problemi alle articolazioni o alle giunture ed è ottima per la colonna vertebrale dato che lubrifica, aiuta a rompere i depositi di calcio, riduce eventuali infiammazioni e contribuisce a rimuovere le tossine.
Si tratta di una bevanda dal colore acceso e dal sapore delizioso, realizzata con pochi ma salutari ingredienti. A base di curcuma è molto utilizzato nella medicina ayurvedica. 
Giusto di recente, questa spezia orientale, ormai sempre più utilizzata anche in Occidente, è stata oggetto di numerosi studi scientifici che ne hanno evidenziato notevoli e benefiche proprietà.
In particolare, il suo principio attivo, la curcumina, sarebbe antiossidante e antinfiammatorio, in grado dunque di contrastare stati infiammatori e dolori articolari in generale ma anche la digestione lenta, il gonfiore addominale, il mal di denti, le nevralgie e infine è ottima per favorire il corretto funzionamento del fegato, abbassare il colesterolo e i trigliceridi.

I benefici del golden milk sono molteplici:
*  anti-infiammatorio piuttosto efficace
*  antiossidante, con virtù antisettiche,
*  aiuta a controllare il colesterolo
*  potenzia il sistema immunitario in generale
*  migliora il metabolismo contribuendo al mantenimento del peso corporeo
*  favorisce il benessere intestinale, disintossicando il fegato
*  regola la pressione sanguigna
efficace antidolorifico, specialmente per se soffrite di dolori articolari e muscolari
riduce gli effetti della psoriasi e di altre malattie della pelle.

Potete assumere questa bevanda tutti i giorni, al mattino, anche per un mese.

In caso di mal di gola e raffreddore invece è consigliata l’assunzione di una pallina di pasta di curcuma assoluta, da deglutire così com'è con un po’ di acqua, mattina e sera fino a ridurre i sintomi.

E’ la sinergia tra pepe nero e curcuma ad agire sulla biodisponibilità della curcumina fino a 1.000 volte, ed aumenta così l’assorbimento del corpo.


Attenzione: non è un farmaco né un integratore e la quantità di curcumina presente è comunque bassa, tuttavia bisogna sapere che il pepe contiene un alcaloide che potenzia l’azione della curcumina, a cui si deve la maggior parte dell’effetto simil-terapeutico.


GOLDEN MILK ( haldi doodh)

INGREDIENTI
per la pasta di curcuma

1/4 di tazza di acqua filtrata o depurata (o comunque una buona acqua da bere quindi con un basso residuo fisso) 
1/2 tazza di curcuma in polvere
1/2 cucchiaino di pepe nero macinato

Mettere a bollire a fiamma alta in un pentolino antiaderente tutti gli ingredienti mescolando continuamente per evitare di formare grumi. Si deve ottenere in poco tempo un impasto liscio e cremoso, abbastanza denso.

Una volta pronta, conservate la pasta di curcuma così ottenuta in un barattolo di vetro chiuso ermeticamente in frigo.  In questo modo, si manterrà per circa 40 giorni.

per il golden milk

1/4 di cucchiaino di pasta di curcuma
1 tazza di latte vegetale preferito (riso,mandorle,etc..)
sciroppo d'agave o zucchero grezzo di canna per dolcificare 

Per preparare il latte fate scaldare a fiamma media in un pentolino antiaderente per un paio di minuti il latte vegetale con la pasta di curcuma e l’olio fino ad ottenere un composto denso e corposo.

Mescolate continuamente per evitare che arrivi a bollore. Togliete dal fuoco e versate in una tazza. (potete anche frullarlo un attimo per creare maggiore cremosità) . Aggiungete il dolcificante secondo il Vostro gusto.

Questa è la versione più classica ma io la gradisco molto di più con l'aggiunta di una spolverata di cannella (o 1/4 di stecca sbriciolata) e visto che mi piacciono i sapori decisi perché non usufruire dei vantaggi di 'altra ottima spezia: ovvero lo zenzero!? Perciò ci aggiungo anche una bella grattugiata di zenzero fresco sopra :P 

NOTAGUSTO: se avete curcuma fresca potete -al posto di preparare la pasta- grattugiarla direttamente nel latte messo a scaldare assieme al pepe nero e poi procedere come da ricetta.




martedì 5 dicembre 2017

Cicoria ripassata

La cicoria ripassata o strascicata è un piatto tipico della cucina romana in primis e del sud d'Italia poi.

Il piatto è semplicissimo e a prova di chiunque: anche chi crede di non saper far nulla in cucina!

Ma prima di affrontare questa "difficilissima" ricetta facciamo anche noi un bel ripasso di storia e proprietà di questa meravigliosa pianta spontanea.

La cicoria (Cichorium intybus) volgarmente nota con il termine un po’ ingeneroso di “bruttona” per via del suo aspetto non particolarmente attraente, è una pianta apprezzata da millenni, che cresce spontanea nei prati, ai margini delle strade, nei terreni argillosi d’Europa, Asia temperata e Africa Settentrionale. 
Tra le piante spontanee che la natura ci offre, la cicoria è una delle prime a comparire ed ha una lunga storia alle spalle. Viene citata addirittura, per le sue proprietà medicinali, nel papiro Ebers (nome dell’egittologo tedesco che lo ha scoperto in un sarcofago), il primo trattato medico egiziano risalente al terzo millennio a.C. abbiamo, infatti con esso, la certezza che la cicoria fosse apprezzata per le sue proprietà “aperitive e digestive”.
Successivamente il grande naturalista Plinio il Vecchio, nella sua “Storia Naturale”, ne decanta le virtù nevralgiche, diuretiche, stomachiche e calogoghe. Secondo il famoso medico greco Galeno è “amica del fegato” e “non contrasta allo stomaco”; per questo i medici greci e latini la prescrivevano spessissimo e curavano con essa molte malattie dell’addome. I Romani, durante i pranzi luculliani, insieme con uova di tordi, beccafichi e pavoni, si facevano porgere piatti di cicoria. Apicio la chiamava intuba, condendola con miele. Nelle credenze popolari germaniche era considerata una pianta magica, attraverso la quale si poteva provare il piacere dell’amore, spezzare incantesimi, diventare invisibili e invulnerabili. Per ottenere questi effetti, occorreva però dissotterrare la radice nel giorno di San Pietro e Paolo, avvalendosi di un pezzo d’oro e delle corna di un cervo.
Curioso è l’episodio avvenuto nel 1513, quando Massimiliano Sforza mette in fuga l’armata francese nella battaglia della Riotta. Il popolo milanese esulta per la vittoria, sfilando per la città con aste e pali sui quali erano stati fissati grossi mazzi di cicoria, al grido “Cicoria! Cicoria!”, poiché era noto che essa giovasse alle malattie del fegato. I malati di fegato, in questo caso, erano considerate metaforicamentge le truppe francesi, seccate per la forte sconfitta. Un cronista del tempo raccontava questo episodio: “Tutta Milano gridava: “Duca, Duca, Moro, Moro, Zuchoria, Zuchoria, per quelli che avevano marzo il fidego… et altro non se odiva per Milano se non zuchoria, zuchoria”. Sin dal XVII secolo è impiegata per usi alimentari e, sempre a partire da quel secolo, fu usata anche come surrogato del caffè. Emblematico, a questo riguardo, l’episodio del blocco continentale operato da Napoleone nel 1806 che, vietando ogni importazione di prodotti provenienti dall’Inghilterra e dalle sue colonie, contribuì a diffondere l’uso del caffè di cicoria. Dopo la soppressione del blocco, la pianta cadde nuovamente nel dimenticatoio, ma durante le due Guerre Mondiali tornò drammaticamente di moda per via della scarsità di molti generi alimentari. La cicoria, che nel 1300 il botanico tedesco Conrad di Megenberg chiamò “sponsa solis” (sposa del sole), per via dei suoi fiori che si aprono e chiudono al sole, è stata spesso etichettata come simbolo di povertà negli ultimi secoli, allontanata dalle tavole, e si è persa la pratica di raccoglierla.
Secondo un'altra antica leggenda rumena invece il sole chiese ad una fanciulla di nome Floridor di sposarlo.
La ragazza però rifiutò nettamente e il sole si arrabbiò a tal punto che trasformò la ragazza nel fiore di cicoria: il fiore di cicoria guarda al sole per tutto il giorno.
Il sole in pratica, costrinse la ragazza a guardarlo tutto il giorno: il fiore della cicoria, infatti, è eliotropo poichè si apre al mattino e si chiude al tramonto. 

Molto saporita, spesso amarognola, da servirsi cruda - quella cimata è ottima nei pinzimoni - o cotta, è formata all’80% da acqua e contiene solo 10 kcal/ 100 gr. di parte edibile: è consigliata in caso di digestione lenta e difficile, contribuendo a dare sollievo ed accelerare il processo digestivo, riducendo il fastidioso sintomo della pesantezza; ha proprietà lassative e diuretiche, per cui è efficace nel combattere i problemi di stitichezza e per aiutare i reni a svolgere al meglio la loro funzione filtrante, eliminando più acido urico possibile; ha proprietà antinfiammatorie, in caso di tosse persistente, specialmente se accompagnata da bronchite, congestione nasale e asma; ha una capacità ipoglicemizzante, utile per abbassare i livelli di glicemia nel sangue dei soggetti diabetici e, essendo un ottimo tonico naturale, contrasta la comparsa dei radicali liberi e viene spesso utilizzata in campo dermatologico. La cicoria, tramite depurazione e disintossicamento, stimola le funzioni di intestino, fegato e reni grazie alle sostanze presenti nelle radici che hanno proprietà digestive, ipoglicemizzanti, lassative (purgative), colagoghe facilita la secrezione biliare verso l’intestino) e cardiotonica regola la frequenza cardiaca); dai suoi fiori sono estratti liquidi per curare alcuni tipi di oftalmie, mentre la polpa riduce le infiammazioni, avendo proprietà antiflogistiche. L’inulina, di cui la pianta è ricca, che è responsabile del suo sapore amaro, riduce i rischi di cancro intestinale, il tannino è astringente, disinfettante, ricostituente e disintossicante.
Non è dunque giunta l'ora di provarla se ancora non l'avete gustata???

E' BUONISSIMA ANCHE SEMPLICEMENTE COTTA IN ACQUA E SALE E POI CONDITA CON OLIO EVO E SUCCO DI LIMONE (che ricordo aiuta il nostro fisico ad assimilare l'assunzione di ferro) E SE LO GRADITE ZENZERO GRATTUGIATO!
CICORIA RIPASSATA PICCANTE



INGREDIENTI
cicoria
aglio
olio evo
sale
vino bianco vegan ok a sfumare
peperoncino (meglio se fresco)

Lavare, pulire e tagliare la cicoria e metterla in una padella con un po' d'acqua (quel tanto che basta a coprirla) per farla appassire poi chiudere con un coperchio. Quando l'acqua evapora sfumare col vino. Nel frattempo in un'altra padella schiacciare l'aglio e farlo leggermente soffriggere con un po' di olio. Quando il vino è sfumato trasferire la cicoria nella padella con l'olio e l'aglio, regolare di sale e farla saltare per qualche minuto in modo che s'insaporisca bene. Togliere l'aglio e aggiungere il peperoncino tagliato finemente. Lasciare sul fuoco ancora un paio di minuti. Servire calda magari con un paio di fette di pane tostato e se piace e aromatizzato all'aglio e olio.

BUON APPETITO!

NOTAGUSTO: Potete anche mettere l'aglio direttamente a cuocere con la cicoria in acqua. Diventerà molto tenero e lo si potrà schiacciare creando così una bella cremina con la quale far insaporire bene la cicoria. Se volete potete anche mettere porro o cipolla oltre all'aglio. Provate!

Qui a piatto unico con l'aggiunta verso fine cottura di wurstel vegetali a base di lupino e soia